L’impero delle luci (Magritte)
Là dentro è l'ora
del dolce in forno
dell'ultima pagina
prima di dormire,
prima di spegnere la luce.
E fuori, invece,
è pomeriggio d'estate
di ombre lunghe
sui grilli e le fate.
*
La zattera della Medusa (Géricault)
È un pezzo che si stacca,
un pezzo di disfatta:
si levano le mani verso l'orizzonte
si ammassano corpi più densi che onde:
c'è disperazione, in altri speranza
ci sono torsi nudi, toraci, braccia
c'è lo sventolare di fazzoletti
e lenzuola, come a salutare
al di là del mare
una terra o un dio
che forse - se esiste - ti salva.
C'è lo sguardo sconsolato
di chi ha già rinunciato
ma soprattutto c'è l'odore del sangue
che tutto tinge
le vele, i manti sui capi
sui sessi, sulle anche,
l'interno delle narici:
il sangue è dappertutto,
ti acceca, vecchio,
t'impasta la bocca,
fin dentro le orecchie
- pur fin sui timpani
si accumula, carminia, la polvere seccata
e non ti lascia sentire che rumore di morte
e grida.
Nessuno ti chiama più per nome
ti hanno come dimenticato
tu stesso hai dimenticato chi eri,
il tuo valore - perché
vi eravate imbarcati?
Ora c'è solo il sangue, dappertutto,
sui corpi vivi - sui corpi morti
sulle assi di legno, sulla spuma delle onde,
dentro la tua bocca ferrigna,
si mischia al tuo sudore,
pesa di rosso l'aria tutta, intorno a te,
rossa di sale, rossa da bere
rossa di piaga, di dita affondate,
rosso anche il cielo, sulla linea d'orizzonte
rosso il pensiero arso dal sole
rosse le tempie, le scanalature
dell'epidermide, il contorno degli occhi,
la visione tutta.
Ti agganci a un corpo bianco
- non tanto per salvarlo -
ma perché era quello, prima,
il colore.
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